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mercoledì 28 maggio 2014

Per Non Dimenticare... PeaceLink intervista Claudia Pinelli, figlia dell'Anarchico Giuseppe "Pino" Pinelli



di Laura Tussi – 26 maggio 2014

Intervista a Claudia Pinelli
Per Non Dimenticare...
Laura Tussi - PeaceLink intervista Claudia Pinelli, figlia dell'Anarchico Giuseppe "Pino" Pinelli

  • Il ricordo di tuo padre è stato un punto fermo nella vita della famiglia Pinelli. Quali sono le parole più significative e gli ideali più alti che la sua memoria ti ha trasmesso?
Il suo ricordo sicuramente è un punto fermo nella nostra famiglia e abbiamo dovuto testimoniarlo innumerevoli volte, ma la memoria sua e di quello che accadde appartiene a tutta la società civile.

Pino era un ottimista che viveva con entusiasmo quel tempo di speranze di profondi cambiamenti. Aveva dato il suo contributo, giovanissimo, alla lotta partigiana, come staffetta, maturando dall’esperienza della guerra il rifiuto per qualsiasi autoritarismo. Aveva letto moltissimo, forgiato il suo pensiero con  i classici del pensiero anarchico, studiato l’esperanto credendo veramente che una lingua comune avrebbe fatto cadere le barriere tra i popoli, era impegnato nel movimento anarchico, nel sindacato di base, nel pacifismo e nella non violenza. Faceva da tramite tra persone di generazioni e ideologie differenti, sempre aperto al dialogo e al confronto. E aveva una moglie che amava e due figlie. Poi la strage di piazza fontana, la sua orrenda morte, la sua immagine che esce deformata dalle dichiarazioni di quegli stessi responsabili del suo fermo illegale e dell’interrogatorio che stava subendo quella notte quando precipitò dalla finestra al quarto piano della questura.

Pino è diventato un simbolo dei diritti negati e dei connotati violenti che può assumere il potere. Lui era una persona positiva e ha insegnato a noi e non solo a noi, l’importanza dell’impegno in prima persona.

  •  Anarchia è responsabilità e ragionamento: non è violenza. Con quali modalità e azioni tuo padre credeva nell'obiezione di coscienza e nel disarmo?
Quella che riporti è una frase dell’ultima lettera che mio padre scrisse e diventa ancora più significativa pensando che lo fece proprio nel pomeriggio del 12 dicembre 1969.

Pino aveva studiato l’esperanto, lingua che aveva imparato molto bene e che avrebbe voluto insegnare. Con questo strumento comunicava con persone di ogni parte d’Europa, che ospitava anche a casa. Era entrato in contatto con le idee che infiammavano quegli anni, con la contestazione giovanile, con i movimenti contro la guerra del Vietnam e con la sua capacità di dialogo divenne tramite tra generazioni differenti E’ stato tra i primi a organizzare incontri pubblici dedicati al tema dell’antimilitarismo insieme a obiettori di coscienza che vennero incarcerati per il loro rifiuto di indossare una divisa. Partecipò e organizzò marce per la pace, indisse manifestazioni e comizi per l’obiezione di coscienza, il pacifismo e la non violenza, Sostenne la stampa e la diffusione dei primi numeri di “Mondo Beat”, giornale che illustrava l’importanza della non violenza e la necessità del pacifismo

C’è una bellissima testimonianza di Giuseppe Gozzini, il primo obiettore di coscienza cattolico in Italia, che a poche ore dalla morte di Pino scrisse una lettera che rese pubblica in cui ricorda mio padre con queste parole

“Conosceva, e non per sentito dire, movimenti e gruppi che si ispiravano alla non-violenza e voleva discutere con me sulle possibilità che la non-violenza diventasse strumento d'azione politica e l'obiezione di coscienza stile di vita, impegno sociale permanente. Io gli parlavo di società basata sull'egoismo istituzionalizzato, di disordine costituito, di lotta di classe e lui mi riportava oltre le formule, alla radice dei problemi, incrollabile nella sua fede nell'uomo e nella necessità di edificare l'uomo nuovo, lavorando dal basso. Poi ci vedemmo in molte altre occasioni e i punti fermi della nostra amicizia divennero don Primo Mazzolari e don Lorenzo Milani, due preti scomodi, che hanno lasciato il segno e non solo nella chiesa….Viveva del suo lavoro, povero come gli uccelli dell'aria, solido negli affetti, assetato di amicizia, e gli amici li scuoteva con la sua inesauribile carica umana… Si è sempre battuto  contro l'individualismo delle coscienze addomesticate: lui, ateo, aiutava i cristiani a credere (e lo possono testimoniare tanti miei amici cattolici); lui operaio, insegnava agli intellettuali a pensare, finalmente liberi da schemi asfittici. Non ignorava le radici sociali dell'ingiustizia, ma non aveva fiducia nei mutamenti radicali, nelle `rivoluzioni' che lasciano gli uomini come prima. Paziente, candido, scoperto nel suo quotidiano impegno, era lontano dagli estremismi alla moda, dalle ideologie che riempiono la testa ma lasciano vuoto il cuore. Stavo bene con lui, anche per questo." 

  •  In qualità di testimone degli eventi, come ti poni nei confronti del pensiero socialista e libertario del grande Partigiano e Padre Costituente Stéphane Hessel che ha lanciato appelli di pace per la nonviolenza e per il disarmo nucleare totale? Come tuo padre avrebbe attuato e condiviso tali idee?
Il mio essere testimone degli eventi è marginale rispetto al ruolo avuto da mia mamma Licia, una persona meravigliosa che è diventata roccia per noi e per lui quando tutto il nostro mondo è andato in frantumi. E di tutte quelle persone che ci sono rimaste vicine e ancora lo sono, con estremo coraggio in situazioni anche molto difficili. Da quello che io conservo di mio papà e da quello che mi hanno raccontato di lui credo si sarebbe avvicinato con curiosità e interesse alle idee di Stephane Hessel cercando di valutare e di capire, come faceva per tutte le idee e le cose che lo stimolavano, ma non mi posso permettere di parlare per lui, di dire come avrebbe attuato o anche se avrebbe condiviso tali idee. Nessuno di noi è lui.

  • Un messaggio alle generazioni presenti e future "Per Non Dimenticare" la memoria degli eventi.
Non bisogna accettare in maniera passiva le verità ufficiali, bisogna sempre cercare e essere critici, mantenendo viva la capacità di indignarsi. La memoria deve essere come un filo di luce puntato implacabilmente sul passato perché mantenendo viva l’attenzione, la ricerca, la comprensione di quello che è stato questo potrà essere di insegnamento e monito per il presente e potrà aiutarci a trovare la forza per ribellarsi a chi ci vorrebbe spettatori passivi invece che cittadini che partecipano e scelgono. Solo così si avranno gli strumenti per costruire una società più giusta e più umana.

lunedì 17 marzo 2014

RICONVERSIONE ECOLOGICA, RIPARTIAMO DAL TERRITORIO

Rino Lattuada
17.03.2014

Il Fatto Quotidiano – 17 marzo 2014
RICONVERSIONE ECOLOGICA, RIPARTIAMO DAL TERRITORIO
di Domenico Finiguerra | 17 marzo 2014

Una recente inchiesta del quotidiano The Guardian sostiene che in Europa ci sono almeno 11 milioni di case vuote, di queste 2 sono in Italia: un problema continentale, di carattere sociale ed ambientale. Il nostro Paese ha perso dal ‘71 al 2010 quasi 5 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata. Questo è dovuto a due fenomeni: l’abbandono delle terre e la cementificazione.

L’Italia poi è il terzo paese in Europa ed il quinto nel mondo nella classifica del deficit di suolo. Ci mancano 49 milioni di ettari per coprire il nostro intero fabbisogno, pari a 61 milioni di ettari. Siamo destinati ad essere sempre più dipendenti dalla produzione di terreni di altri paesi. Questi dati ci restituiscono a spot la fotografia di una situazione drammatica che accomuna gran parte dei Paesi dell’eurozona, specialmente Italia, Spagna, Germania, Portogallo, Francia. La “crisi del mattone”rappresenta, in fondo, la crisi di un sistema e di un modello di sviluppo che in troppi e per troppo tempo hanno ostinatamente inseguito nonostante ci fossero campanelli d’allarme a preavvisare il disastro puntualmente arrivato.

Da questa crisi si può a nostro avviso uscire in modo diverso da come ci si è entrati. Non è uno slogan. La crisi strutturale internazionale che stiamo vivendo, a causa della situazione economico-politica, deve essere affrontata con una consapevolezza e una sensibilità nuove, nel pieno rispetto delle superfici non impermeabilizzate, dei fiumi, delle coste, del paesaggio e dell’ambiente, con grande chiarezza e trasparenza. Muratori, carpentieri, piastrellisti, installatori, lavoratori del cemento, lapidei, cavatori, geometri, ingegneri, architetti, restauratori devono avere ancora un futuro nelle costruzioni. Questa volta non per distruggere il territorio, ma per valorizzarne la bellezza e per gratificarne la professionalità e la passione.

La riconversione ecologica deve rappresentare una delle sfide (a nostro avviso la prima e irrinunciabile) che l’Europa deve vincere nei prossimi anni. La tutela del territorio, accompagnata ad una riqualificazione energetica degli edifici pubblici e privati (capannoni, case, fabbriche…), è uno dei grandi volani in grado di attivare occupazione a km zero (distribuita cioè là dove si attuano gli interventi), ridurre l’impatto antropico e consentire circoli virtuosi di risparmio economico da reinvestire in altri interventi di sostenibilità ambientale. Insomma, per riassumerla in uno slogan, fare del bene all’ambiente non solo è necessario, ma possibile e conveniente.

Tutto questo è fondamentale non solo per ridurre i consumi energetici e tutelare un bene comune come il territorio. A riavvolgere infatti il nastro degli ultimi sessant’anni di storia del nostro Paese si scopre che nel periodo compreso tra il 1950 e il 2012 ci sono state oltre mille frane e settecento inondazioni in 563 località diverse, che sono costate la vita a novemila persone, con oltre 700mila sfollati. Per non parlare dei danni al patrimonio artistico e culturale. Solo l’alluvione di Firenze del 1966 ha danneggiato 1500 opere d’arte e 1.300.000 volumi della Biblioteca nazionale. Novemila persone sono un paese intero. Novemila persone sono 15 chilometri di corpi distesi sul ciglio di una strada.

Provate a pensarci, forse è la distanza che percorrete ogni giorno per andare al lavoro. Immaginatevi di essere accompagnati da tutte le vittime di questa guerra che per la maggior parte del tempo non fa rumore, tace, agisce sotto traccia, costruendo le proprie vittime nel giorno per giorno di costruzioni abusive, condoni edilizi, paesi abbandonati, campagne sacrificate al “progresso”, fiumi spostati e golene infestate di capannoni e seconde case. Pensate a tutto questo, per qualche istante, perché è importante visualizzare lo scempio di questa assurdità.

A leggere tutti i numeri di questa storia vengono i brividi, e sono cifre più che attendibili che ci fornisce lo Stato in persona, nelle sue tante diramazioni istituzionali. I comuni italiani interessati da frane sono 5.708, pari al 70,5% del totale: 2.940 sono stati classificati con livello di attenzione molto elevato. L’Italia è un paese a elevato rischio idrogeologico. Le frane e le alluvioni sono le calamità in-naturali che si ripetono con maggior frequenza e causano, dopo i terremoti, il maggiore numero di vittime e di danni. Solo negli ultimi dieci anni sono stati spesi oltre 3,5 miliardi di euro con ordinanze di Protezione Civile per far fronte a eventi idrogeologici.

Ciò che serve, dunque, è un’operazione senza precedenti coordinata a livello europeo di manutenzione straordinaria dei nostri edifici pubblici (a partire dalle scuole), dei corsi d’acqua e delle montagne, diffusa e capillare, in grado quindi di generare ricchezza, occupazione e sicurezza. Affiancare agli interventi manutentivi un’altrettanto radicale opera di informazione e formazione dei cittadini e delle comunità locali. Un lavoro quotidiano, per i prossimi anni, in grado di mettere al centro dell’attenzione dell’opinione
pubblica la questione del paesaggio e di un prendersi carico collettivo della sua tutela.